Home Cinema “L’ISOLA DEI CANI”: RECENSIONE ***NO SPOILER***

“L’ISOLA DEI CANI”: RECENSIONE ***NO SPOILER***

“L’Isola dei Cani”, attualmente nelle sale cinematografiche, è il nuovo film di animazione in stop motion di genere sci-fi distopico firmato dal regista Wes Anderson.

L’arcipelago giapponese nel futuro, tra vent’anni: l’eccessiva concentrazione di cani ha raggiunto proporzioni epidemiche, l’influenza canina sta contagiando la città di Megasaki. Il sindaco Kobayashi emette ordinanze di emergenza e l’isola dell’immondizia diventa colonia d’esilio, nominata “l’isola dei cani”.

Una città abbandonata ridotta a grande discarica è teatro drammatico in cui si svolgono le vicende attorno al dodicenne Atari Kobayaschi, che ricordando “1997: fuga da New York”, atterra di nascosto col suo veivolo sull’Isola dei cani alla ricerca del fedele compagno Spots.

Un futuro quello narrato da Anderson dove l’incomprensione e l’emarginazione sono i veri sintomi di un’intolleranza radicata nei popoli, inevitabile causa di un’inarrestabile degrado sociale.

Anderson lascia che la maggior parte dei personaggi, compreso lo stesso Atari, parli in giapponese. I cani in questo film sono gli unici a parlare una lingua comprensibile. Noi spettatori siamo indotti a comprendere ciò che ci viene narrato o spiegato dagli umani, attraverso una raccolta di informazioni frammentarie. Si ricorre al sottotitolo, alla traduzione simultanea, alla lettura di scritte e didascalie, ma alla fine tutto risulta fin troppo chiaro: ciò che è ingiusto è incomprensibile. Capire il motivo che induce ad atteggiamenti di intolleranza e prevaricazione costringe ad uno sforzo di comprensione su più livelli, come lo è tradurre un linguaggio differente.

I cani, nonostante siano dei reietti randagi ripugnanti, sono mostrati pieni di dignità. Spesso isolati nell’inquadratura, con lo sguardo dritto sulla macchina da presa, essi parlano con disincanto e stoicismo. La risultante è una sorta di ironia amara in cui si evince che un elemento alfa deve portare avanti con onore il senso di giustizia. L’idea di cibarsi di un giovane bambino nonostante la fame, quindi, non verrà presa in considerazione dai cani, ma al suo posto verrà scelto di aiutare il Piccolo Pilota a ritrovare il suo amato cane.

Il geometrico gioco di inquadrature di Wes Anderson è uno dei tanti raffinati esempi dell’omaggio che il regista ha voluto fare alla tradizione giapponese. La città di Megasaki è mostrata spesso attraverso riprese di interni, come dentro un ryokan, oppure all’interno di in una cucina dove tramite la visione dall’alto si assiste alla preparazione tradizionale del sushi. L’omaggio al Giappone è anche nei rimandi al teatro Kabuki, all’illustrazione ottocentesca, ai manga ed al cinema di Akira Kurosawa e Hayao Miyazaki.

L’isola dei cani, vincitore dell’Orso d’argento per la migliore regia al Festival di Berlino è un film strutturato su più livelli cognitivi che fa riflettere sulla società moderna ed il suo andare alla deriva verso un probabile futuro inevitabilmente distopico.