Antonio Serra è noto soprattutto per avere creato, insieme a Medda e Vigna, il celebre fumetto fantascientifico italiano Nathan Never, per Sergio Bonelli Editore. Serra, da vero appassionato di fantascienza, ha iniziato a scrivere fin da giovanissimo in una fanzine dedicata al genere. Successivamente collabora come saggista per la rivista Fumo di china e a L’enciclopedia dei fumetti De Agostini e nel 1987 entra ufficialmente alla Sergio Bonelli Editore, dove scrive alcune storie di Martin Mystère e Dylan Dog. Nel 1991, insieme a Medda e Vigna e con la realizzazione grafica di Claudio Castellini, crea Nathan Never, la prima testata fantascientifica della Bonelli. Serra sarà anche co-creatore del personaggio Legs Weaver, che dal 1995 avrà una testata dedicata, il primo fumetto della Bonelli interamente dedicato ad una donna. Dopo aver creato Greystorm (2009) e Odessa (2019), tutt’oggi Serra scrive sceneggiature e cura fumetti per la Bonelli.
Nell’intervista che segue, Antonio Serra ci racconta come è nata la sua passione per la fantascienza, fino a diventare sceneggiatore del genere.
Come è nata la tua passione per la fantascienza e quali sono state le tue prime pubblicazioni?
La storia delle fanzine parte dal presupposto che io sono sempre stato affascinato dalla fantascienza. Le ragioni di questa fascinazione nascono dalla trasmissione della RAI avvenuta il 20 e 21 luglio 1969 in occasione del primo sbarco dell’uomo sulla Luna. Ho un ricordo molto vivido, avevo 5-6 anni, in quell’occasione trasmisero Il Pianeta Proibito, Dalla Terra alla Luna e Ultimatum alla Terra. Sono film che mi hanno super appassionato, ero un ragazzino, avevo appena imparato a leggere. Questa fascinazione si trasformò nel fatto che quando ci diedero dei libri da leggere per le vacanze estive, riuscii ad accaparrarmi proprio Dalla Terra alla Luna di Giulio Verne, quindi incominciai a leggere Verne. Mio padre, che viaggiava spessissimo per lavoro, era un forte lettore di tutto, gialli, saggistica e così via, ma anche molta fantascienza. Acquistava quasi ogni settimana Urania, quindi poi ho cominciato a leggere diversi Urania, in particolar modo me li passava mio padre, evidentemente facendo lui un giudizio su cosa potevo leggere o non potevo leggere, essendo piccolo. Questo per dirti che quando succede questa cosa delle fanzine, io sono un super appassionato di fantascienza.
Erano altri tempi, stiamo parlando dei primissimi anni ’80 e ci ritroviamo a fare uno sciopero a scuola. Io ero già al liceo e ci assegnano delle ore di autogestione dove potevamo fare quello che volevamo. Tra le varie proposte che emergono dai vari gruppi che si formano c’è però un gruppo di lettura di fantascienza. Quindi io vado lì e incontro delle altre persone con le quali stringo un rapporto di amicizia e decidiamo di fare una fanzine di fantascienza. La fanzine si intitolava «Fate Largo», traducendo letteralmente Make Room! Make Room! di Harry Harrison, il romanzo da cui poi è stato tratto Soylent Green, in Italia intitolato 2022: i sopravvissuti. In questa fanzine facevamo di tutto, scrivevamo racconti, facevamo delle recensioni dei libri che avevamo letto e dei film che avevamo visto. Io addirittura all’epoca pensavo di saper disegnare e quindi mi facevo delle illustrazioni. Alcune di queste immagini che ho realizzato le ho riviste negli anni successivi e posso dire con assoluta certezza che non era vero che sapevo disegnare! Ci credevo in quel momento lì, e d’altronde credendo in questo poi alla fine ho fatto i fumetti. Per un po’ abbiamo fatto questa fanzine, avendo anche dei contatti con altre fanzine che esistevano già all’epoca sul continente. Tutto questo chiaramente si svolgeva a Cagliari, in Sardegna, quindi nel pieno “dell’isolamento isolano”. Eravamo entrati in contatto con altre fanzine, sia in Italia che addirittura in Spagna. Erano tempi nei quali non solo non esisteva Internet, ma non c’era neanche il computer, non c’era nulla, il tutto avveniva per lettera. Questa fanzine non era neanche fotocopiata, ma era ciclostilata. Quindi facevamo le matrici sulle quali si scriveva a macchina, le matrici poi venivano infilate nel ciclostile per poterne fare più copie. Poi queste matrici si deterioravano molto rapidamente, la prima copia si leggeva bene, già alla decima non si leggeva più! Fu un’esperienza molto formativa dove chiaramente eravamo tutti giovani e molto entusiasti. Chiaramente io ho preso la strada dei fumetti, perché quella era la cosa che più mi appassionava.
Quali fumetti ti appassionavano maggiormente?
Diciamo fumetti di fantascienza, principalmente I fantastici quattro che leggevo di nascosto dai miei genitori, perché mio padre e mia madre li trovavano molto strani, diciamo così, e quindi anche un po’ preoccupanti, diciamo così, rispetto al Corriere dei piccoli che proponeva dei prodotti chiaramente più controllati. All’interno però del Corriere dei piccoli e poi del Corriere dei ragazzi c’era ad esempio Luc Orient di Greg e Eddy Paape, che era un fumetto di fantascienza franco-belga, anche quello mi piaceva tantissimo. Ancora oggi li trovo bellissimi, li ho ricomprati tutti, li ho anche in gran parte riletti e nella loro semplicità li ho trovati comunque veramente bellissimi, ma il fumetto proprio che più mi ha affascinato è Jeff Hawke. Usciva sui quotidiani inglesi e veniva stampato in Italia dalla editrice Milano Libri in bei volumi cartonati. Mio zio era molto appassionato, era un collezionista di fumetti, quando andavamo a casa sua io scomparivo e stavo lì a leggere. Lui era principalmente un collezionista del materiale Disney, Topolino e così via, però collezionava anche tutte le riviste come Linus dove appariva Jeff Hawke e quindi poi lui di conseguenza aveva comprato anche questi volumi della Milano Libri. Io poi chiesi a mio padre di acquistarmeli con una certa regolarità perché costavano 1000-1500 Lire, una cifra abbastanza alta all’epoca. È uno dei fumetti più belli in assoluto che io abbia mai letto e lo rimane ancora oggi, cioè, anche leggendolo oggi rimane un fumetto straordinario sia per l’aspetto scientifico, diciamo così, che per l’aspetto avventuroso.
Poi chiaramente appassionandomi di fumetti, volendo disegnare, ho fatto tutto un percorso, diciamo complicato, per cui a un certo punto sono arrivato a presentare del materiale alla Bonelli editore. Non da solo. Nel frattempo avevo perso di vista il gruppo col quale avevo fatto la fanzine di fantascienza, ma avevo incontrato un nuovo gruppo con il quale invece si cercava di fare i fumetti, avevamo realizzato delle mostre e avevamo prodotto dei fumetti da mandare a far vedere agli editori. La grande fortuna di questo gruppo, del quale facevano parte anche Michele Medda e Bepi Vigna, è stata di poter incontrare Alfredo Castelli, che purtroppo è recentemente scomparso. Alfredo è stato come dire, un gigante per noi. Ha letto le cose che avevamo fatto e gli sono piaciute. Ci ha detto che aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a scrivere Martin Mystère, di cui ero già lettore ovviamente. Era un fumetto di fantascienza fondamentalmente e non me l’ero lasciato sfuggire. Gli autori Castelli e Alessandrini io li conoscevo già, li avevo seguiti sul Corriere dei ragazzi, quindi poi li ho seguiti quando sono migrati presso Bonelli.
Poi ci sono state una serie di coincidenze e varie cose che hanno congiurato per portarmi a dove sono, perché all’epoca c’erano già molte polemiche riguardo al servizio militare. Io chiaramente all’epoca l’ho fatto. Oggi non esiste più il servizio militare obbligatorio. All’epoca si poteva chiedere di poter essere spostati nella propria destinazione con la logica di avvicinarsi a casa. Io invece ho fatto il contrario con la mia logica. Ho chiesto di andare a Milano in maniera tale che potessi stare a contatto con Castelli e quindi praticamente quando uscivo in libera uscita al pomeriggio, verso le cinque, andavo in redazione. Alfredo mi passava dei lavori, lettura di bozze, controllo degli albi e così via. Io per tutto il periodo del militare ho lavorato per Bonelli e quando sono stato congedato lui mi ha proposto di andare in redazione perché era molto contento del lavoro che avevo svolto. Subito dopo il militare ho cominciato a lavorare alla Bonelli e non più chiaramente pensando di fare il disegnatore, ma come sceneggiatore e redattore. La passione per la fantascienza non è mai venuta meno, questo è il percorso dalla fanzine al lavoro.
Dopo quella notte del luglio 1969, quali sono stati i film di fantascienza che più ti hanno affascinato?
Sono di quella generazione che ha vissuto la trasformazione, quella trasformazione pazzesca che ha avuto il cinema. Quando ero ragazzino, un’altra delle passioni che sicuramente saranno emerse nelle tue ricerche, è Godzilla. Quando ero bambino i film di Godzilla mi facevano una paura terrificante, non riuscivo a vederli proprio, ero spaventatissimo, invece per i giapponesi addirittura erano pensati per i bambini e i ragazzini. Però io invece ero molto, molto spaventato. Lo dico perché sono uno che ha vissuto il cinema delle tute di gomma, delle astronavi mosse con i fili e così via.
Nell’ottobre del 1977, quando è uscito Guerre Stellari, e io dico Guerre Stellari infatti, perché non sono di una generazione che non potrà mai dire Star Wars, sono rimasto chiaramente a bocca aperta perché sì, avevo visto cose in televisione, avevo visto Spazio: 1999, però Guerre Stellari era una cosa incredibile. Fu veramente uno shock! A parte la sala piena, io sono andato a vedere Guerre Stellari nella prima settimana 14 volte. Come ci sono riuscito? Semplice, non uscivo dalla sala, erano altri tempi, oggi controllano che non ci sia più nessuno in sala, ai tempi invece si poteva stare, quindi io più di una volta mi sono visto due e in un’occasione anche tre volte il film.
Era la realizzazione di un sogno, era veramente vedere quello che desideravamo da sempre, con tutti i limiti, ma anche con tutta la magia, diciamo così. Quel film, in quel momento aveva una tecnologia assolutamente straordinaria, rivoluzionaria. Dopodiché, inutile dirti, Guerre Stellari apre un mondo, crea un momento di grande interesse, successo e disponibilità nei confronti dei film di fantascienza. Ho vissuto veramente con grande emozione l’evolversi degli aspetti narrativi, ma soprattutto dell’evolversi tecnologico che è sempre stata per me una passione.
Mi appassionavano i modellini e mi appassionano ancora oggi, quindi ho dei ricordi topici. Ad esempio ho un ricordo, assolutamente “una lama nel cervello”, Aliens – scontro finale di Cameron perché mi faceva vedere sullo schermo cose che capivo ancora come erano state fatte. Tecnicamente Aliens è ancora girato tutto con i modellini, la computer grafica era da venire, ma la scala, la complessità, la ricchezza, la capacità di realizzare questa cosa era veramente super straordinaria. A cambiare il mondo dopo è stato chiaramente Jurassic Park, non ricordo tanto il film quanto il trailer, perché nel trailer si vedeva la zampa del tirannosauro che entrava nel fango. Ho visto quella immagine lì e ricordo di aver detto “va beh, è finita”. Da qui in poi si può fare tutto. E infatti siamo in questa trappola mortale e si può fare tutto. Il fatto che si possa fare tutto non vuol dire che bisogna fare tutto, ma invece si fa. Quindi è chiaro che da Jurassic Park in poi l’aspetto tecnico è diventato un problema secondario, se non addirittura un falso problema. Ecco, non che non ci siano effetti speciali malfatti oggi e ci sono, però è chiaro che è tutto un altro mondo. Per ragioni anche di cultura, emozione e così via, ho trovato più importanti film fantasy, cioè tipo la tecnologia de Il signore degli anelli, piuttosto che film di fantascienza memorabili. L’unico che escluderei è Contact che mi era molto piaciuto per tante ragioni, ma come dire se ci siamo incontrati al corso sul rapporto tra scienza e fantascienza ci sarà una ragione. Non ultimo il fatto appunto, che affrontava la problematica del rapporto tra immaginazione e realtà che per me come autore e scrittore è la cosa importante.
Riguardo 2001: Odissea nello Spazio invece c’è questa cosa buffa. Nel ’68 evidentemente quando il film è uscito io ero troppo piccolo. Non ho visto il film al cinema, chiaramente, ma negli anni ’70 come saprai, Jack Kirby, uno degli autori de I fantastici quattro che ho citato all’inizio di questa discussione, ha realizzato una versione a fumetti di 2001: Odissea nello Spazio molto discussa, molto, come dire, contestabile. Questa versione a me piacque immensamente. Avevo letto il fumetto, ma non avevo visto il film, incredibile, no? Mi piacque tantissimo, lo rileggevo in continuazione. Kirby poi fece anche una serie intitolata 2001: Odissea nello Spazio a episodi, dove in ogni episodio si riproduceva il meccanismo del film, cioè sostanzialmente c’era una cosa ambientata nel passato della Terra, o anche nel futuro della Terra, poi arrivava il monolito che, come dire, cambiava le carte in tavola, faceva evolvere la situazione. E questa serie, tra l’altro, non è più riproducibile in stampa, perché i diritti del film che la Marvel aveva all’epoca sono scaduti e non è mai stato possibile rinnovare l’accordo. Quindi chiunque possieda quegli albi lì se li tenga ben stretti, sia in italiano, che sono apparsi sulla collana de Gli Eterni, sia se uno li avesse in inglese in albi singoli valgono qualcosina, perché chiaramente non si possono, per il momento almeno, ristampare.
All’epoca esistevano i cinema di seconda e anche di terza visione, ricordo a Cagliari il cinema Corallo, disse “Vabbè, c’è Guerre Stellari e noi proiettiamo 2001: Odissea nello Spazio“. Quindi io ho visto 2001 al cinema in ritardissimo, dieci anni in ritardo. Avendo già letto il fumetto di Kirby, chiaramente vedendo il film al cinema rimasi esterrefatto dall’aspetto tecnico. Non mi preoccupai, diversamente da tutto il resto del pianeta, dell’aspetto narrativo, perché avevo già letto il fumetto e Kirby dava la sua versione dei fatti e per me in questo caso il film e il fumetto raccontavano la stessa cosa. Poi è un po’ vero, un po’ no, diciamo. Quindi la storia per me era chiara. Il film mi appassionò in maniera straordinaria, ancora oggi lo riguardo, l’ho studiato veramente il film, ho tantissimi libri su 2001: Odissea nello Spazio. Il mio primo DVD che ho comprato era 2001: Odissea nello Spazio, in un’edizione giapponese pur di avere il DVD perché era della stessa nostra regione DVD. Insomma, un capolavoro inimmaginabile ancora oggi!
Oggi vado molto meno al cinema, un tempo ci andavo, non dico tutte le sere, ma abbastanza, vedevo veramente di tutto e adesso ci vado molto, molto meno. Siccome sono un appassionato di fumetti, sono anche appassionato dell’MCU, l’universo cinematico Marvel, ma lo sono esattamente come lo sono dei fumetti. Trovo molto strano che qualcuno mi dica “mi sono stufato, ma basta, ma sono ripetitivi, ma sono fatti con lo stampino”. C’è scritto Marvel, cioè uno è appassionato della Marvel o non lo è? Non so come dire. Quindi io sono appassionato della Marvel e a me la Marvel è sempre piaciuta molto. Chiaramente io tratto i film esattamente come tratto gli albi, questo mese l’albo è bello, un mese dopo l’albo è brutto, succede nei fumetti e quindi non mi stupisce che possa succedere anche al cinema una volta che si ripropone il meccanismo. Una serialità come dire ossessiva, dove i personaggi sono tutti nello stesso mondo e devono in qualche maniera interagire forzatamente tra di loro, in una maniera che poi a lungo andare “si spezza”. Io ho letto per tanti anni i fumetti della Marvel, sono super fan ovviamente del periodo degli anni ’70 e ’80. Leggo pochissimo oggi i fumetti della Marvel perché li trovo francamente del tutto illeggibili, come purtroppo trovo molti illeggibili molti fumetti, nonostante io sia uno che li fa di mestiere. Però al cinema c’è questa specie di strano ibrido, una specie di giochetto per cui io devo prendere il papà di un bambino e portarlo al cinema in maniera tale che il figlio veda il mio film e si appassioni a sua volta. Quindi questi film della Marvel danno un colpo al cerchio e uno alla botte. Cioè io che sono un anziano, diciamo, ci vedo dentro delle cose che riconosco e che magari vanno bene per l’eventuale mio figlio. Io non ho figli, ma altri ce li hanno e quindi il sistema probabilmente funziona.
Quali serie TV e film prodotti negli ultimi 25 anni ti sono piaciuti?
Non ho visto molte serie TV di grande successo, per dirne una, non ho visto The Walking Dead, anche se i miei colleghi la nominavano moltissimo. In ogni caso certamente metto al primo posto, nonostante tutte le difficoltà, Doctor Who. Ricordo venne trasmessa nei primi anni ’80, pochi episodi del quarto dottore, Tom Baker. Fu per me davvero rivoluzionaria, un universo assolutamente incredibile, cercai di recuperarli e ci riuscii. Recuperare, pensa tu, con la parola veramente incredibile, videocassette, persino facendo una cosa che non faccio mai, io non viaggio, odio viaggiare, ma invece sono andato a Londra per andarle a comprare. Ho visto il Dottore del rilancio, dal 2005 in poi, quello di Russell Davis mi è piaciuto moltissimo. Ci sono episodi che chiaramente metto in classifica per creatività straordinaria. Nel tempo, inevitabilmente la serie si era già, come dire, erosa da centinaia di storie raccontate, perché qui stiamo parlando di una cosa che è andata in onda tutte le settimane per decine e decine di anni. Ho visto gli episodi del periodo di Steve Moffat, che è un grandissimo talento, ma non ho sintonia con le cose che scrive Moffat. Invece mi è piaciuto di più, pur con le polemiche, quello di Chris Chibnall con il dottore donna di cui ho trovato degli episodi validi. Questo rilancio ultimo col ritorno di Russell Davis mi sembra estremamente problematico per tante migliaia di ragioni. Per cui sì, sono comunque un fan, tengo Doctor Who sicuramente alto in classifica.
Poi ho visto Stargate SG-1, ma parliamo già di roba più vecchia, ho visto tante cose senza mai appassionarmi. Quando è ricominciato Star Trek con Discovery ho abbandonato tutto subito, perché Discovery per me è l’anticristo proprio. Non so come altrimenti definirlo e quindi proprio non l’ho visto, cioè lo so che esiste, non l’ho visto perché mi sono bastati due o tre episodi. Adesso invece chiaramente sono molto appassionato di Star Trek: Strange New Worlds, nonostante, come dire, la sua genetica bizzarra, diciamo. Ecco, arrivando da Discovery, però mi è piaciuto molto. Non dico una parola su Star Trek: Picard perché voglio, come dire, evitare insulti e parolacce.
Una serie che a me è piaciuta veramente molto, la possiamo sicuramente considerare di fantascienza, però certamente anche molto insolita, è Sense8 delle sorelle Wachowski. Mi è piaciuta molto, molto bella, l’ho trovata molto moderna, molto al passo con i tempi, intelligente, realizzato anche con una disponibilità non solo di mezzi ma anche di pensiero. Chiaramente è un prodotto molto di nicchia ed è durato poco, addirittura due sole stagioni. L’ultima stagione è rimasta in sospeso e le sorelle Wachowski hanno detto, “vabbè, non c’è niente da fare”, quindi è stato fatto un crowdfunding dai fan, ho partecipato, ho dato dei danari, e si è riusciti a girare un ultimo episodio che facesse da chiusura alla serie.
Un’altra serie che ho visto, che ho seguito e che ho trovato super appassionante dall’inizio, ma che poi dopo ha veramente perso la trebisonda è stata Galactica. Le prime due stagioni di Galactica secondo me erano veramente molto belle, all’inizio della terza l’embolo che è venuto agli sceneggiatori è evidente, però cosa si può fare, niente. Pazienza. Poi ad esempio ho visto, sempre scritta da Russell Davies, Torchwood, che secondo me, nella sua breve corsa, è stata una serie molto, molto bella, mi è piaciuta moltissimo. Poi non è che mi è piaciuta molto, però l’ho trovata molto appassionata e emotiva, la serie Umbrella Academy che in sostanza è molto più una vera serie di X-men, più di certi film degli X-men e quindi quella mi è piaciuta. Mi è piaciuta molto la prima stagione de L’esercito delle 12 scimmie, che l’avevo trovata molto ben scritta perché reggeva molto bene l’aspetto dei paradossi temporali. È durata solo quattro stagioni e poi anche lì, bon, ciao, probabilmente era troppo intelligente.
Altre cose le ho solo intraviste perché chiaramente il tempo purtroppo è poco e le serie di fantascienza sono ormai la maggioranza. Perché una delle trasformazioni che io ho vissuto è che un tempo una serie TV di fantascienza era una rarità, invece oggi come oggi è la norma, o perlomeno con un argomento fantastico. Escludo da tutto questo discorso, tutto quello che è l’universo seriale di Star Wars, perché tranne all’inizio Il Mandaloriano che era interessante, poi la cosa ha preso una direzione spaventevole per la quale non so cosa dire, se non che ho il cuore spezzato perché è allucinante a tutti gli effetti. Insomma quello che ho visto sullo schermo non mi è piaciuto per niente, cioè mi è sembrata un’occasione sprecata. Tu hai dei personaggi, delle idee, degli attori, te li bruci in pochi minuti, poi dopo come possono esserci? Non possono esserci dei rockabilly anni ’50 in Guerre Stellari, capisci? Cioè ma come è possibile? Non lo capisco, mi sfugge, mi sfugge completamente, non riesco ad appassionarmi quindi non mi è piaciuta.
Ho visto alcuni episodi di For All Mankind che mi sembra molto interessante, però poi non sono riuscito ad andare avanti.
Poi ho visto molti prodotti seriali Marvel, diciamo che salvo sicuramente WandaVision perché la storia che racconta per immagini live action è stata una delle storie a fumetti più appassionanti che io abbia mai letto nella mia vita, dell’epoca Marvel di cui parlavo prima. Una storia che è durata alcuni anni, che poi viene sintetizzata in nove puntate, dove tutte le cose del fumetto vengono frullate, chiaramente in un modo che volendo si può contestare. Mi sono emozionato tantissimo perché ho potuto vedere certe cose che facevano parte della mia memoria di lettore di fumetti realizzati in maniera moderna, creativa. Mi è piaciuta tantissimo, però è chiaro che altre serie della Marvel non mi sono piaciute. È stata l’unica serie che sono riuscito a vedere tutta di seguito, appassionato, senza faticare.
Il brutto delle serie in generale è che molte sono dilatate per arrivare al minutaggio desiderato. Anziché durare dieci puntate, dovrebbero durarne quattro. E invece chiaramente si “ciurla nel manico” come si dice.
L’unica cosa per cui mi smuovo attualmente è Doctor Who e Star Trek: Strange New Worlds e rimango sempre molto interessato, ma sono anche uno che ne ha viste tante ormai.
Poi di cinema ovviamente, per quanto io odi Nolan, sono costretto a citare per forza Interstellar solo, soltanto per quando sei in sala e vedi Interstellar e pensi: ma veramente credi di farcela a battere 2001: Odissea nello Spazio? Caro Nolan, sei sconfitto, stai tranquillo e invece non riesci a starci tranquillo, no? E questo un po’ mi inquieta, nel vedere un uomo così rabbiosamente inquieto. Poi, se vogliamo considerare Tenet un film di fantascienza… Invece a me Tenet è assurdamente piaciuto perché in realtà non è un film di fantascienza e come ci si rende benissimo contro è un remake di 007-Thunderball. Con la sceneggiatura, come dire, coi pezzi spostati, ovviamente. Sono andato a vederlo perché ero molto curioso di questa cosa legata allo spionaggio, che è un’altra delle mie grandi passioni. Lì mi ha colpito perché si vede che Nolan è appassionato di spionaggio, cioè lui è molto appassionato dei romanzi e anche del cinema di 007, e questa versione bizzarrissima di 007 a me è piaciuta. Da fan dello spionaggio cinematografico e letterario mi è piaciuta molto. Però è veramente, come dire, un’operazione tutta di testa che non può appassionare. Non so come dire, se non sei dentro la stessa testa, non so se riesco a spiegarmi.
Ti è piaciuto Dune di Villeneuve?
Il Dune di Lynch quando ero giovane mi era comunque piaciuto con tutti i limiti. Oggi questi limiti sono spaventosissimi. Anche la serie televisiva inglese di Dune secondo me è ancora oggi piuttosto valida, con la fotografia di Vittorio Storaro. Secondo me non era male, me la sono vista, proprio tenendo conto della sfida, esisteva già il digitale, ma non esistevano tante soluzioni. Invece l’ultimo Dune non è che non mi è piaciuto, mi è piaciuto perché penso anche che il regista abbia la capacità di aver scelto un cast di attori, che rappresentano la generazione del momento e quindi chiaramente sono perfetti lì sullo schermo nei loro ruoli. Però è un film in frigorifero, no? È un film completamente estetizzante, di un’estetica che potremmo definire “Apple”, no? Cioè tutto bianco e liscio, ma insomma, io spero si capisca cosa voglio dire, è proprio una cosa estetica e quindi, sai, diventa anche meno appassionante. È anche vero che il romanzo è difficile da digerire, perché il romanzo ha una scrittura poco coinvolgente, ma per scelta. Nel romanzo i pensieri dei personaggi sono essenziali e il ragionare continuo di Paul è uno dei nuclei del romanzo. Nella versione di Lynch c’è sempre la voce fuori campo dei pensieri dei personaggi, fedele al romanzo, aiuta a capire cosa sta succedendo e ad arricchire quello che non c’è sullo schermo, ma è anche utile a creare tutto un ritmo, se vogliamo letterario. Il fatto che questa cosa sia stata completamente esclusa nel film moderno, quindi le voci fuori campo non ci sono, lo raffredda in maniera spaventosa. Mi fa dire che è raccontato meglio per certi versi, è tutto più chiaro. Ci sono delle soluzioni, appunto, estetiche, che risolvono molte cose e magari anche con una sola inquadratura, ecco fatto, Ciao, 100 pagine di libro, una immagine. Però c’è questa freddezza che è proprio genetica dell’autore. Ammetto però di non aver ancora visto la seconda parte… prima o poi ce la farò…
Qual è il tuo prossimo progetto? Hai degli albi in uscita?
Molti anni fa, io e Alfredo Castelli avevamo messo su un primo incontro tra Nathan Never e Martin Mystère, perché Alfredo aveva letto i primi albi di Nathan e si era appassionato. Come abbiamo detto, Alfredo è stato il mio maestro, senza di lui non ci sarei mai stato né io, né Nathan Never, e all’epoca realizzammo due storie di incontro tra le due parti. Una terza storia era sempre in ballo, diciamo, si voleva fare un terzo episodio. Il tempo è passato, le cose sono cambiate, il mercato è cambiato tantissimo. Quelli erano dei volumi speciali, un prodotto che all’epoca andava molto bene, il fatto che uscissero delle storie speciali piaceva ai lettori. Invece oggi come oggi questi speciali vendono pochissimo e quindi non era più possibile pensare di proporre ai lettori uno speciale. Si è detto, questa storia deve apparire all’interno delle serie regolari, quindi nelle serie Martin Mystère e Nathan Never. Per una marea di ragioni che non sto a spiegarti, doveva essere una storia diciamo doppia, poi è diventata tripla e alla fine è diventata quadrupla, in realtà quasi quintupla, ma non importa, perché man mano si è arricchita di elementi e così via eccetera. Quindi ad oggi, 18 novembre, mentre io parlo è uscito in edicola la settimana scorsa il numero 417 di Martin Mystère che è l’albo dov’è questa storia comincia. Oggi o domani esce il numero 402 di Nathan Never dove la storia si trasferisce da Martin Mystère alla serie regolare di Nathan Never, dove durerà altri due albi, 403 e 404. Quindi alla fine saranno quasi 400 pagine.
È una storia molto particolare perché sono passati molti, molti anni e ci sono da mettere in ordine tutta una serie di cose che un tempo sembravano ovvie, che sono cambiate nel tempo, al punto che in questa avventura invece di avere un incontro tra Nathan Never e Martin Mystère, abbiamo un incontro tra due Nathan Never e due Martin Mystère di diversi universi. Quindi è anche una specie di meccanismo narrativo che consente a tutto l’universo Bonelli di vivere nello stesso contesto. Ecco, nel tentativo di mettere insieme delle cose che non sono nate originariamente per essere messe insieme, anche se negli anni lo stesso Sergio Bonelli aveva scritto delle avventure di Mister No, dove lo stesso Mister No incontrava Martin Mystère e così via. Proprio perché alla fine c’era la sensazione che tutti questi personaggi si muovessero comunque in un mondo comune, nonostante la differenza di spazio e di tempo che caratterizzava le loro serie. Quindi questa storia conferma questa cosa e speriamo possa essere veramente gradita dai lettori. Ricordo che è scritta da Adriano Barone che è uno sceneggiatore che ha già realizzato un altro importante incontro, che è anche quello in questo momento in edicola. È uscito l’anno scorso il volume in libreria, ma è in questo momento in edicola, cioè l’incontro, incredibile ma vero, perché viviamo un mondo globalizzato pazzoide, l’incontro tra Nathan Never e La lega della giustizia, quindi Superman, Batman, Flash, Wonder Woman e così via. Perché c’è stato negli anni scorsi un accordo tra la Bonelli e la DC Comics e sono state realizzate varie cose, è stato realizzato Batman/Dylan Dog, Zagor/Flash e Nathan Never/Justice League, che in questo momento è disponibile nella versione da edicola. Adriano Barone ha scritto questa storia, mentre invece Sergio Giardo ha realizzato tutti gli albi che riguardano Nathan Never, mentre invece Martin Mystère 417 è disegnato da Salvatore Cuffari e Giulio Giordano. Tutti bravissimi, hanno fatto un bellissimo lavoro. C’è anche un breve inserto di un altro disegnatore che si chiama Mariano de Biase. Ci stiamo lavorando proprio oggi, ho dedicato tutta la giornata a lavorare su questi albi che stiamo per mandare in stampa, è un lavoro molto grande, centinaia di pagine, moltissimi personaggi coinvolti, è però uno di quegli eventi che speriamo possa appassionare un po’ i lettori.
L’anno scorso è uscito un volume di Nathan Never speciale, dove abbiamo fatto un’altro incontro. Ormai Nathan Never incontra tutti, abbiamo fatto un incontro tra Nathan Never e Luca Parmitano, l’astronauta della dell’Agenzia Spaziale Europea. Luca Parmitano è un personaggio assolutamente straordinario. Ho lavorato con lui perché è stato lui a chiedere questa cosa da appassionato lettore di Nathan Never, abbiamo lavorato fianco a fianco, lui era alla NASA e ci sentivamo grazie alla tecnologia moderna. Ho realizzato una storia che, come ti ho detto appunto a Varese, s’intitola La terra si frantuma, una storia di fantascienza dove passato e presente s’incontrano e gli elementi dell’universo di Nathan Never fanno parte anche della realtà “vera”. Questo esperimento di incontro è stato un successo, nel senso che non solo il volume è andato molto bene ed è piaciuto, ma soprattutto è piaciuto a Parmitano. L’esperienza di lavoro creativo è stata per Parmitano veramente molto appassionante e quindi lui ci ha chiesto pubblicamente, proprio al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, di farne un altro. Quindi non è da escludere che in futuro ci sarà un nuovo albo con la partecipazione di Parmitano.
Ringrazio Antonio Serra per avermi rilasciato questa bella intervista!