RICORDI NOSTALGICI DI UN FUTURO PASSATO
Anno 2009: un osservatore discreto e silenzioso si appresta a svolgere un’importante missione di mappatura e rilevazioni in favore di future missioni sulla Luna.
Quarant’anni dopo l’euforia e le speranze portate dalle missioni Apollo viene lanciato il Lunar Reconnaissance Orbiter: tra le molte finalità di questo speciale veicolo, quella di scattare foto ad alta risoluzione del suolo lunare.
Il “Mare della Tranquillità” è un vasto avvallamento, facilmente osservabile nelle notti di luna piena sulla faccia visibile del nostro satellite: è proprio qui che, sul finire degli anni ’60, si consumava lo storico allunaggio dell’Apollo 11.
Oggi, in un futuro così lontano e diverso da quello immaginato nel 1969, le missioni lunari sono ormai divenute materia per riempire trafiletti su ingiallite pagine all’interno dei libri di Storia. Eppure una fotografia scattata nel luogo del primo allunaggio può raccontare una storia: riaffiorano ricordi e vecchie leggende.
LA TRUFFA MILIONARIA DELLA NASA
A metà degli anni ’70 viene dato alle stampe un libro destinato a divenire un vero e proprio caso: “We Never Went to the Moon” è scritto da William Kaysing, personaggio che lavorò effettivamente alla Rocketdyne, divisione del colosso aerospaziale Rockwell che progettò i razzi del vettore Saturn V.
Nel suo libro Kaysing espone la sua teoria, secondo la quale la NASA non sarebbe mai stata in grado di portare a termine una missione di tale portata e quindi lo sbarco del 20 luglio 1969 altro non sarebbe che una sapiente simulazione. L’autore sembra smontare pezzo per pezzo l’intera missione, fornendo suggestive spiegazioni.
E’ l’alba di un vero e proprio “movimento complottista” che porterà a supporto centinaia di presunte prove tra cui foto, dichiarazioni ed ipotetiche discrepanze con un unico fine: dimostrare che l’uomo non è mai stato sulla Luna.
Con il passare del tempo (e lo sviluppo esponenziale di internet) quello che sembra poco più di una mera leggenda metropolitana, assume i toni di un vero e proprio scontro per la ricerca della verità. In questa sede non ci dilungheremo in analisi e contro analisi di supposte prove (il web brulica di siti, blog e forum a riguardo) ma ci limiteremo ad una manciata di semplici considerazioni.
Documentandosi è facile apprendere che Kaysing non avesse alcuna competenza tecnica riguardo lo sviluppo di qualsiasi elemento utile alla missione Apollo: l’uomo lavorò in Rocketdyne in mansioni estranee alla progettazione, per un breve lasso di tempo, fino al 1963.
Molti dimenticano poi che in quei giorni di luglio l’Apollo 11 non viaggiava solo. Il programma spaziale russo aveva precedentemente lanciato Luna 15, una sonda priva di equipaggio che avrebbe dovuto compiere un viaggio di andata e ritorno verso il nostro satellite. Fu grazie all’intercessione dell’astronauta americano Frank Bornam che ebbe luogo il primo scambio di dati tra Russia e Stati Uniti, al fine di scongiurare interferenze di qualsiasi tipo.
I sovietici hanno più volte confermato, attraverso eminenti portavoce, di aver captato i segnali lanciati dall’Apollo. Non solo i russi, ma il mondo intero poneva la propria attenzione su un evento, ricordiamolo, di portata storica. Osservatori, telescopi e radiotelescopi da Germania, Spagna e Gran Bretagna hanno confermato di aver rilevato gli spostamenti della missione: anni più tardi, nel 2008, la sonda giapponese Kaguya scattò numerose fotografie dei luoghi dell’allunaggio.
Torniamo a 2009: nelle foto ad alta risoluzione del LRO appaiono, in un’area periferica del “Mare Tranquillitatis”, alcune forme quasi impercettibili, eppure così famigliari. Lo stadio abbandonato del LEM, la bandiera, i riflettori laser (utilizzati ancora oggi per compiere rilevazioni strumentali dalla Terra). Tutto è fermo, cristallizzato nell’attimo in cui Armstrong e Aldrin lasciarono la superficie lunare.
E’ triste constatare come oggi molti antagonisti asseriscano che nel ’69 fosse impossibile giungere sulla Luna: spesso ciò viene argomentato ricordando che una missione così pericolosa sarebbe avvenuta con l’ausilio di un computer dalle capacità di calcolo irrisorie.
E’ necessario ricordare che all’alba dell’Uomo, grazie all’intuito di qualche sconosciuto progenitore, fummo in grado di accendere un fuoco sfregando due bastoncini di legno, dando inizio al progresso. Oggi, stringendo tra le mani piccoli dispositivi dalle potenzialità quasi infinite, ci siamo privati del coraggio e della temerarietà fondamentali per compiere gesti inconsulti ed eroici. La nostra tecnologia non libera i nostri pensieri ma, piuttosto, ci inchioda alla percezione di una vita che mostra esclusivamente tutto ciò che le nostre menti identificano come un limite.